Nasce dalla penna di Augusto Stigi con la collaborazione di Valerio Gentili, il libro autoprodotto “Ragazzi di Strada”. Lo scenario è quello della periferia romana; il tempo quello delle grandi illusioni, dei grandi sogni e delle grandi promesse degli anni 70/80.
Un racconto che sa di vita in ogni sua pagina, in ogni sua riga. Denso di episodi ed aneddoti, Stigi ci riporta indietro nel tempo in maniera reale senza fronzoli o frasi di circostanza. Quello che conta sono i tuoi ideali e le azioni che determinano ciò che sei.
Abbiamo intervistato l’autore che ci ha raccontato il percorso che ha portato alla nascita del suo intenso racconto.
Come nasce la volontà di raccontare la sua vita in un libro?
Non è propriamente la storia della mia vita, altrimenti sarebbe stata un’autobiografia. Poi non credo sia importante a chi è accaduto, se a me o ad un altro, considerevole d’interesse è l’autenticità e i sentimenti che ispira e che i fatti siano tutti veri.
Non sono uno scrittore di professione e nemmeno a livello amatoriale, quindi la volontà di raccontare questa storia non poteva che nascere spontaneamente per caso. Il mio amico Valerio Gentili, nonché collaboratore al romanzo, avendo sentito parlare di storie e avvenimenti, a volte vere leggende metropolitane, accadute nel quartiere nel passato e sapendo che io e i miei amici ne eravamo protagonisti, mi sollecitava spesso a raccontarle. Convinto a dare voce a chi non ce l’ha, a chi certe storie le ha vissute in prima persona, a raccontare verità che per anni sono state mascherate da infamie e falsità. A far sventolare la bandiera dei vinti che tali non si sentono; convinto che la storia non la possono scrivere sempre gli stessi. E così in un periodo molto particolare della mia vita ho deciso di farlo.
Chi sono i suoi “Ragazzi di strada”?
Sono quelli che non ci sono più e quelli che ancora resistono. Quelli che hanno pagato il conto più salato degli altri. Quelli violentati ma sempre puri. I maledetti da Dio.
Il suo racconto è strettamente connesso ai cambiamenti politici e culturali di un’epoca in cui si profilava una nuova dimensione in cui i giovani, tra contraddizioni ed illusioni, potevano albergare e definire le proprie priorità, c’è ne parla?
I cambiamenti determinano sempre nuovi scenari e più si va avanti e più sono veloci e di facile assorbimento. Ognuno è figlio del suo tempo. A me sarebbe piaciuto fare il guerriero Cheyenne o il partigiano in montagna, un pò difficile a Roma negli anni settanta e ottanta, invece ho interpretato un ruolo di quelli che la regia proponeva. Potevo fare il bravo ragazzo o il teppista, il poliziotto o il ladro, il boy-scout o il tossico. Non so quanto condizionato dagli eventi che mi circondavano, ma la parte me la sono sempre scelta da solo fra quelle a disposizione senza calcoli, seguendo l’idea che a contare fosse il mio cuore. Pensando che la droga fosse un fantastico veicolo per la libertà, quella vera, che mi avrebbe arricchito spiritualmente e fatto arrivare dove gli altri non potevano (non fu proprio così). Pensando che si potesse fare la rivoluzione per cambiare questo mondo ingiustamente governato dai cattivi. Molti andavano a scuola e studiavano convinti di essere gratificati personalmente conoscendo e sapendo per poi intraprendere esperienze lavorative. Anche qui le cose sono un po’ cambiate. Era un periodo di molte illusioni, forse troppe, a quelli che ne sono rimasti affascinati quel periodo non ha portato molta fortuna. Ma quelli di adesso non stanno meglio, non hanno la droga, non fanno più le rivoluzioni e a scuola ci vanno solo per svoltare un lavoro semidecente. E quel che è peggio è che non hanno nemmeno più le illusioni.
Quanto lo scenario della periferia romana, in particolare quello di Centocelle, ha influito sulle dinamiche che hanno definito la sua vita e quella dei suoi coetanei?
Quanto la mia indole. E’ ovvio che se l’eroina non c’è non puoi diventare tossico. Ma è pur vero che non tutti ci diventano. Allora è determinante quello che ti circonda, ma ancor di più secondo me il tuo carattere, il tuo modo di vivere la vita, ne puoi essere protagonista (nel bene e nel male) o la puoi veder scorrere. Il mondo nonostante il cemento e l’asfalto sempre una jungla è e l’uomo, con la giacca e il telefonino, sempre un animale è. Nella jungla c’è il leone che regna e detta le sue leggi. Gli animali che le accettano se ne stanno buoni e nascosti, mangiando ogni tanto per dono della fortuna, poi ci sono quelli che se ne infischiano e girano liberamente a caccia di prede, subendone le conseguenze. La selezione naturale è una condizione inalterabile.
Da tutta la storia, quello che emerge con violenza è la necessità di credere che ci sia sempre un motivo per cui valga la pena sopravvivere. Se potesse tornare indietro cosa direbbe a quel ragazzo?
Quelli che sudano e faticano, che si arrampicano tutti i giorni, che prendono mazzate, o soccombono o sopravvivono. Per alcuni questa è la vita. Storie tristi, miserevoli e infelici, ma purtroppo vere, il più infame dei nemici da combattere. A quel ragazzo non direi niente perché a me dava e da fastidio che mi dicano quello che devo o non devo fare e molti errori e cadute, quel ragazzo le ha fatte proprio a dispetto di quello che gli dicevano di fare o non fare. Può essere molto più onorevole una sconfitta di tante false vittorie.
E poi, nonostante tutto, l’amicizia. Che cos’è per lei e quale valore le attribuisce?
E’ una di quelle cose che contano veramente nella vita, per cui vale la pena vivere, che non ha prezzo e ti rende ricco e fortunato. E’ una rarità, per questo il suo valore è inestimabile. Anche se ha volte è causa di dolore e delusioni, ma è uguale, non si cambia squadra perché perde. E’ quel sentimento spontaneo, disinteressato che rende grande un uomo. E’ una delle poche volte in cui diamo senza calcolo di un ritorno.
Domanda obbligatoria e di rito: progetti per il futuro? Possiamo aspettarci un secondo racconto?
Chissà …continuiamo a sopravvivere e vedremo.
di Laura Adduci