martedì 29 novembre 2011

"RAGAZZI DI STRADA" - VALERIO GENTILI

Una ricostruzione politicamente scorretta degli anni '80,
rievocati attraverso il punto di vista della strada.
Lontano dall'edonismo, dalle luci e i lustrini della televisione negli anni del consumo, una storia dal "basso" riletta a partire dalla periferia, la curva, la militanza di strada.
Un affresco sincero e romantico di come era la vita nella "città di sotto".

Valerio Gentili

lunedì 28 novembre 2011

LAURA ADDUCI INTERVISTA AUGUSTO STIGI PER ECOTV

" RAGAZZI DI STRADA" DI AUGUSTO STIGI



Nasce dalla penna di Augusto Stigi con la collaborazione di Valerio Gentili, il libro autoprodotto “Ragazzi di Strada”. Lo scenario è quello della periferia romana; il tempo quello delle grandi illusioni, dei grandi sogni e delle grandi promesse degli anni 70/80.
Un racconto che sa di vita in ogni sua pagina, in ogni sua riga.  Denso di episodi ed aneddoti, Stigi ci riporta indietro nel tempo in maniera reale senza fronzoli o frasi di circostanza. Quello che conta sono i tuoi ideali e le azioni che determinano ciò che sei.
Abbiamo intervistato l’autore che ci ha raccontato il percorso che ha portato alla nascita del suo intenso racconto.

Come nasce la volontà di raccontare la sua vita in un libro?

Non è propriamente la storia della mia vita, altrimenti sarebbe stata un’autobiografia. Poi non credo sia importante a chi è accaduto, se a me o ad un altro, considerevole d’interesse è l’autenticità e i sentimenti che ispira e che i fatti siano tutti veri.
Non sono uno scrittore di professione e nemmeno a livello amatoriale, quindi la volontà di raccontare questa storia non poteva che nascere spontaneamente per caso. Il mio amico Valerio Gentili, nonché collaboratore al romanzo, avendo sentito parlare di storie e avvenimenti, a volte vere leggende metropolitane, accadute nel quartiere nel passato e sapendo che io e i miei amici ne eravamo protagonisti, mi sollecitava spesso a raccontarle. Convinto a dare voce a chi non ce l’ha, a chi certe storie le ha vissute in prima persona, a raccontare verità che per anni sono state mascherate da infamie e falsità. A far sventolare la bandiera dei vinti che tali non si sentono; convinto che la storia non la possono scrivere sempre gli stessi. E così in un periodo molto particolare della mia vita ho deciso di farlo.

Chi sono i suoi “Ragazzi di strada”?

Sono quelli che non ci sono più e quelli che ancora resistono. Quelli che hanno pagato il conto più salato degli altri. Quelli violentati ma sempre puri. I maledetti da Dio.

Il suo racconto è strettamente connesso ai cambiamenti politici e culturali di un’epoca in cui si profilava una nuova dimensione in cui i giovani, tra contraddizioni ed illusioni, potevano albergare e definire le proprie priorità, c’è ne parla?

I cambiamenti determinano sempre nuovi scenari e più si va avanti e più sono veloci e di facile assorbimento. Ognuno è figlio del suo tempo. A me sarebbe piaciuto fare il guerriero Cheyenne o il partigiano in montagna, un pò difficile a Roma negli anni settanta e ottanta, invece ho interpretato un ruolo di quelli che la regia proponeva. Potevo fare il bravo ragazzo o il teppista, il poliziotto o il ladro, il boy-scout o il tossico. Non so quanto condizionato dagli eventi che mi circondavano, ma la parte me la sono sempre scelta da solo fra quelle a disposizione senza calcoli, seguendo l’idea che a contare fosse il mio cuore. Pensando che la droga fosse un fantastico veicolo per la libertà, quella vera, che mi avrebbe arricchito spiritualmente e fatto arrivare dove gli altri non potevano (non fu proprio così). Pensando che si potesse fare la rivoluzione per cambiare questo mondo ingiustamente governato dai cattivi. Molti andavano a scuola e studiavano convinti di essere gratificati personalmente conoscendo e sapendo per poi intraprendere esperienze lavorative. Anche qui le cose sono un po’ cambiate. Era un periodo di molte illusioni, forse troppe, a quelli che ne sono rimasti affascinati quel periodo non ha portato molta fortuna. Ma quelli di adesso non stanno meglio, non hanno la droga, non fanno più le rivoluzioni e a scuola ci vanno solo per svoltare un lavoro semidecente. E quel che è peggio è che non hanno nemmeno più le illusioni.

Quanto lo scenario della periferia romana, in particolare quello di Centocelle, ha influito sulle dinamiche che hanno definito la sua vita e quella dei suoi coetanei?

Quanto la mia indole. E’ ovvio che se l’eroina non c’è non puoi diventare tossico. Ma è pur vero che non tutti ci diventano. Allora è determinante quello che ti circonda, ma ancor di più secondo me il tuo carattere, il tuo modo di vivere la vita, ne puoi essere protagonista (nel bene e nel male) o la puoi veder scorrere. Il mondo nonostante il cemento e l’asfalto sempre una jungla è e l’uomo, con la giacca e il telefonino, sempre un animale è. Nella jungla c’è il leone che regna e detta le sue leggi. Gli animali che le accettano se ne stanno buoni e nascosti, mangiando ogni tanto per dono della fortuna, poi ci sono quelli che se ne infischiano e girano liberamente a caccia di prede, subendone le conseguenze. La selezione naturale è una condizione inalterabile.

Da tutta la storia, quello che emerge con violenza è la necessità di credere che ci sia sempre un motivo per cui valga la pena sopravvivere. Se potesse tornare indietro cosa direbbe a quel ragazzo?

Quelli che sudano e faticano, che si arrampicano tutti i giorni, che prendono mazzate, o soccombono o sopravvivono. Per alcuni questa è la vita. Storie tristi, miserevoli e infelici, ma purtroppo vere, il più infame dei nemici da combattere. A quel ragazzo non direi niente perché a me dava e da fastidio che mi dicano quello che devo o non devo fare e molti errori e cadute, quel ragazzo le ha fatte proprio a dispetto di quello che gli dicevano di fare o non fare. Può essere molto più onorevole una sconfitta di tante false vittorie.

E poi, nonostante tutto, l’amicizia. Che cos’è per lei e quale valore le attribuisce?

E’ una di quelle cose che contano veramente nella vita, per cui vale la pena vivere, che non ha prezzo e ti rende ricco e fortunato. E’ una rarità, per questo il suo valore è inestimabile. Anche se ha volte è causa di dolore e delusioni, ma è uguale, non si cambia squadra perché perde. E’ quel sentimento spontaneo, disinteressato che rende grande un uomo. E’ una delle poche volte in cui diamo senza calcolo di un ritorno.

Domanda obbligatoria e di rito: progetti per il futuro? Possiamo aspettarci un secondo racconto?

Chissà …continuiamo a sopravvivere e vedremo.

di Laura Adduci


sabato 26 novembre 2011

Massimiliano Di Mino recensisce "Ragazzi di Strada" per TerraNullius

Augusto Stigi “Ragazzi di Strada”- Massimiliano Di Mino


Ritornello: C’è solo la strada, la strada su cui puoi contare, cantava Gaber. E cantava bene. Ma nel libro di Augusto Stigi la strada non è solamente un leitmotiv, la strada è un punto nel nero dal quale tirare delle fila, uno spazio infinito da cavalcare, trascinato dai ricordi, alla ricerca di una via salvifica che però non passa, e non intende farlo, per la redenzione, non chiede scusa quando si scontra con te, cerca solo di capire, di accettarsi. Perché se destino è, se destino deve essere, allora puoi solo provare a capire e limitarti ad abbaiare al mulino al vento tanto per sperare che arresti la sua corsa. Eppoi, superata la porta nel deserto, succede che si arresta davvero. Buio. Il protagonista/autore, in seguito a una grave malattia, è risputato al mondo per la seconda volta, gli occhi seppur sgranati non riescono ad abbracciare il tutto, l’insensatezza.


Ogni tempo e modo è dilatato e quell’incazzatura, oppure quella risata passata, ora sembra solo un passo fatto con inerzia. Tutto ha un nuovo principio. Ed è panico. Perché solo i pupazzi, sia ben chiaro, non hanno paura, non hanno bisogno di ricominciare. Dopo una una breve premessa Stigi ci toglie il soprabito e ci trascina nella sua esistenza; vivace, la definisce, e ci strappa il primo sorriso. Con una navigata tecnica cinematografica, alla Goodfellas per intenderci, ci trascina giù in borgata, a Centocelle, a quattro e più miglia dalla Roma dei fasti e della dolcevita. Qui gli odori e gli spazi sono diversi, e una voce che si è fatta magistralmente bambina ci mostra il viaggio di un pallone, un supertele sotto le ruote di quelle, ancora rare, automobili. Il pallone come primo amore, oggetto di rivalsa capace di farti fare strada in quelle polverose della periferia, e in seguito arrivano le amicizie e i contrasti, perché senza quest’ultimi non c’è azione. Negli occhi di un bambino poi, le scoperte si affrettano una dietro l’altra e si fa presto a crescere, è tutto un mondo nuovo e variopinto quello che anima la sua esistenza e la periferia: ci sono i fascisti, quelli di sinistra e, ancora, alla stessa stregua, i drogati che finiscono nello stesso calderone sputati nei telegiornali, e c’è la grande preoccupazione dei genitori, e quella dell’Italia intera (quella del boom), che cambiava pelle per tornare sempre uguale a se stessa. Arriva l’adolescenza, il vero apprendistato del ribelle, l’età delle scelte e Augusto non ha esitazioni nel farle. Tra riviste e fogli ciclostilati scopre il punk e abbraccia il suo immaginario colorato, fuori dagli schemi e sempre e comunque contro. Decidere il proprio destino e il libero arbitrio sembrano allora solo buone conversazioni borghesi da salotto, una diceria che val bene una messa, ma il protagonista alla domenica preferisce andare allo stadio a seguire quella squadra che se la tifi non perdi mai ! (una recensione, anche questo sia ben chiaro, è sempre partigiana), una nuova scelta è per sempre, vale un’epopea, mille avventure e altrettante teppisterie per conquistare l’agognato muretto all’Olimpico, il prestigio, la vittoria. Tutto diviene materia per il mito, almeno per quegli occhi che il mondo lo vogliono mordere. Durante l’impresa dei Mille, Garibaldi osserva giù in una vallata il nemico regio esercito borbonico, ne ammira la compattezza e l’audacia. Con gli stessi occhi del generale il protagonista di ‘Ragazzi di strada’ nel nefasto giorno di Roma-Liverpool invidia i Reds e il loro modo all’unisono, come una sola imponente voce, di incitare il proprio battaglione in campo. Se la narrazione richiede dei nemici, ancor più bisogno si sente degli amici, amici per tutto, per sentirsi forte, per condividere una canna, una rissa, una trasferta e in molteplici avventure che susseguendosi divengono tragicomiche. Il bar del quartiere è il luogo di ritrovo e il teatro dei primi intrallazzi per l’ascesa, per divenire un apostolo dello sballo. Tutto ora sembra procedere a un’altra velocità e, tra la periferia che cambia e nuovi gruppi musicali che si affermano, il protagonista non si accorge di crescere e di essere diventato qualcuno con il quale prima o poi dovrà fare i conti. Un deliquio che trascina il ragazzo in umidi spazi sbarrati e nel viaggio in nero della dipendenza: siamo nel Libro di Caino di Trocchi piuttosto che nell’Amore di Caligari. L’infamia e le bugie sono all’ordine del giorno, tutto sembra disgregarsi: l’amore e il gruppo, tutto precipitare nella tragedia in un grande gioco al massacro, ma fortunatamente nel romanzo si alternano in egual misura gli schiaffi presi con quelli dati; le sconfitte con le vittorie, e ancora una volta in soccorso arriva la costante più luminosa del protagonista: l’amicizia.


A volte si torna! recita il titolo dell’ultimo capitolo, e a volte capita anche di vincere, ma non sono vittorie da ostentare come un gagliardetto o da scrivere su un curriculum, sono premi che ti porti in cuore per farti da corazza quando con quegli occhi sgranati ancora da bambino sai che l’esistenza dovrai sudartela per non subirla.


‘Ragazzi di strada’ è un inno alla vita da chi l’ha forse sfidata troppo. Stigi racconta la sua vita facendosi carico di parlare per una generazione, come tutte, costellata d’interrogativi. Un felice esordio, un romanzo fin troppo generoso che, se lascia tra le pagine qualche ingenuità, è solo per l’abbondanza del materiale, per la voglia di non lasciare nulla d’intentato, di non detto: perché così fanno i bravi ragazzi di strada, perché (recita ancora Gaber) il giudizio universale non passa per le case, ma bisogna tornare nella strada per conoscere chi siamo e perché Augusto Stigi fa parte della schiera di quelli che il conto l’hanno pagato sempre più salato degli altri.






Massimiliano Di Mino


http://www.terranullius.it



Massimiliano Di Mino vs Augusto Stigi


Ad apertura del romanzo "Ragazzi di strada" troviamo l’esergo “ Non sarò mai olio ma per sempre sabbia nei vostri ingranagg
i” . Cos’è questo libro, un trattato per diventare ribelle? Un manifesto di guerra permanente? Raccontaci com’è nato.
Prima di tutto grazie per avermi fatto imparare la parola esergo, non l’avevo mai sentita. Poi ti dico che non è né un trattato né un manifesto. E’ il racconto di una storia come ce ne sono state tante, caratterizzata dall’indole dei soggetti, dal contesto storico e territoriale in cui si svolge, dall’amore e dall’odio, dalla passione e dalla delusione, dalle ferite e dal dolore.
Per essere ribelli non serve un trattato e la guerra permanente quelli come noi la vivono ogni giorno sopravvivendo a dispetto del diavolo.Non dirò mai agli altri quello che devono fare, pensandoci bene forse c’è più un messaggio su quello che non si dovrebbe fare. Alla fine c’è anche un barlume di speranzosa soddisfazione. Non è una storia felice e non ci sono eroi, ci sono errori e fallimenti ma non per questo non si deve guardare in faccia la vita. Il libro nasce per caso, pungolato dal mio amico Valerio (NdR Gentili), il quale ha avuto anche un ruolo attivo e importante nell’evoluzione del testo; lui è più giovane di me e avendo sentito parlare di alcune storie successe nel mio quartiere, a me e a persone vicine a me, da un po’ mi diceva di raccontarle, del resto lui è uno scrittore. Finché un giorno ho detto perché non provare, ho preso la penna in mano ed eccoci qua, dopo una grande fatica abbiamo messo il punto finale.
La tua periferia rifugge ogni luogo comune o indagine sociologica. Seppure linea di frontiera e teatro di molti scontri, la mostri come una terra fertile di agitazione culturale. È uguale ad altre periferie? E com’è cambiata oggi?
Centocelle non è neanche più una periferia è una zona media, tra il centro e l’attuale periferia, che si è allontanata notevolmente.Quando io ero giovane Centocelle era una borgata, grande e popolata; io giocavo a pallone in strada che non era neanche di asfalto. Venne dopo.Ora i giovani vanno al centro commerciale a rimorchiare, ci sono decine di banche e negozi, la gente ci apre pub ed enoteche; è multiculturale, sta diventando un quartiere alternativo, si dice così no? Io amo questo quartiere comunque, in ogni epoca è stato vivo.
Dal romanzo si evince che dai più credito alle idee che agli ideali, alle persone rispetto ai collettivi. In uno dei capitoli più sofferti scopri come i cosiddetti ‘compagni’ scambino moralismo piccolo borghese in azione rivoluzionaria. Oggi vedi  ancora tanti  gatti  travestiti da leopardo in giro?
Sì, ma è normale che sia così. L’essere umano si deve dare un’importanza che non ha. Si cresce e si vive nella convinzione di quello che vorremmo essere o avere, nessuno è quello che è realmente: se vuoi fare il chirurgo devi essere in grado di giocare con il sangue, per moda ci si compra un vestito, non si fa il guerriero. Mentre la sabbia vola nell’aria, l’olio galleggia ed è facilmente riconoscibile.
“ Ragazzi di strada” è ricco di citazioni, da Lord Byron ai Sex Pistols, da C’era una volta in America a Febbre da Cavallo. Facciamo un gioco al massacro: quale di queste pensi che racchiuda maggiormente il senso e lo spirito del libro?
La frase di De Gregori, da La leva calcistica del 68. Io che ho avuto la disgrazia di sbagliare un rigore al novantesimo, in una finale di una certa importanza, so che il mondo in quel momento ti crolla addosso, ma se hai il coraggio, l’altruismo e la fantasia ti tiri fuori dalle macerie e riprendi il tuo cammino.
Infine, la domanda facile. Ci prometti un secondo romanzo?
Sinceramente ci ho pensato, ho anche delle idee, chissà. Io non sono uno scrittore per me è veramente faticoso, però è molto soddisfacente. L’importante è resistere.
Massimiliano Di Mino